27 gennaio 2010

Settima lettera di Ermete dalla Zona Deumanizzata

Scusa se non ti ho più scritto, non trovavo più pezzi di carta su cui scrivere e quando ho trovato questo bollettino postale di una vecchia bolletta del gas non mi scriveva più la penna, s'era seccato l'inchiostro. Mentre alitavo sulla punta della penna guardavo il cielo, ho pensato che sembrava lo stesso cielo grigio di ieri ma probabilmente è solo un'illusione, è un cielo sempre diverso, non siamo mai sotto lo stesso cielo e anche se si è in due a guardare il cielo dallo stesso punto non sono sicuro che si possa dire che sia lo stesso cielo, sono due prospettive leggermente diverse, anche se probabilmente convergono. Non si condivide il punto di vista, solo la vista. Non si condivide il presente, solo il futuro? Comunque non è che io abbia mai avuto tante persone con cui guardare il cielo. Anche quando ero piccolo, ero troppo spesso da solo. Mi ricordo che quando andavo al parco, tutti gli altri bambini (forse c'eri anche tu) giocavano con il freesbee. A coppie, o in cerchio, si lanciavano e rilanciavano il freesbee. Si divertivano. Io non avevo il freesbee, mio padre mi aveva regalato un boomerang, mio padre era un appassionato di Australia, infatti poi come sai un bel giorno ha abbandonato la famiglia ed è andato a vivere tra i canguri. Comunque, io andavo al parco con il boomerang, chiedevo agli altri bambini se volevano giocare con me a boomerang, dicevano di sì, si mettevano di fronte a me a una trentina di metri. Io gli lanciavo il boomerang, ma il boomerang tornava sempre indietro. Io lo lanciavo e quello tornava indietro. Due volte. Tre volte. Più mi impegnavo a lanciarlo all'altro bambino, e meglio e apposta quello mi tornava in mano, anche se lo lanciavo e poi scappavo. Dopo un po' gli altri bambini si stufavano e andavano a giocare a freesbee e io rimanevo da solo con quel cazzo di boomerang, lanciavo il boomerang nel cielo e mi immaginavo mio padre che faceva la stessa cosa in Australia, sotto un cielo diverso però. È finito lo spazio, ti saluto, già che ci sei se vuoi pagarlo questo bollettino, anche se mi sa che è scaduto.

21 gennaio 2010

Maledetta felicità

Quando ero piccolo mia madre mi raccontava sempre una storia per farmi addormentare. Credo che se la fosse inventata lei perché poi crescendo e parlandone con altri nessuno l'aveva mai sentita. Ecco la storia.

C'era una volta un uomo che voleva morire felice. Infatti gli avevano detto che dopo la morte si sarebbe restati in eterno immobili nello stato d'animo in cui si era al momento della morte. Se uno moriva e nel momento della morte era disperato, la sua anima sarebbe in eterno fluttuata in una condizione di disperazione. Se uno moriva sereno, la sua anima sarebbe in eterno fluttuata nella serenità. Perciò, si disse l'uomo, se io morissi nel momento della massima felicità possibile, resterei in eterno massimamente felice. Allora una sera evocò il Signore della Morte e gli disse: "Signore della Morte, ti faccio una richiesta. Non mi importa di vivere fino al termine effettivo della mia vita. Ti chiedo di venirmi a prendere nel momento esatto in cui sarò al picco della mia felicità. Nel momento più felice della mia vita, è allora che ti chiedo di venirmi a prendere, in qualsiasi momento esso capiti". Così disse. "Okay" rispose il Signore della Morte, e sparì. L'uomo, tutto contento, fregandosi le mani se ne andò a letto. Ma il giorno dopo, cominciò ad aver paura di morire troppo presto. "E se capitasse proprio oggi, il momento più felice della mia vita? Dovrei morire di già?" si chiedeva. Questo pensiero iniziò a terrorizzarlo. Cominciò a pentirsi della richiesta che aveva fatto al Signore della Morte. Pensò di cavarsela iniziando ad evitare tutte le occasioni di potenziale felicità. Ad esempio, evitava in tutti i modi di conoscere delle donne, perché temeva di innamorarsi e quindi di diventare felice. Ogni volta che incrociava una donna che gli piaceva, cambiava subito strada. In generale cominciò a girare alla larga da tutte le occasioni di socializzazione. Le feste, le cene, le gite. Decise che non avrebbe mai fatto viaggi nei paesi lontani che aveva sempre desiderato vedere. Ma si accorse che anche uscire a fare due passi nel quartiere dove viveva gli recava una gioia indicibile. Che scambiare due parole con chiunque, anche uno sconosciuto, anche un cane, lo rendeva felice. La felicità era in agguato ovunque, e più la evitava, più se la sentiva alle calcagna. Si chiuse in casa, smise di frequentare chiunque. Ma anche leggere un libro o vedere un film gli inondava il cuore di felicità. Allora smise di leggere, smise di guardare film. Smise anche di guardare fuori dalla finestra, perché ogni volta il cielo gli sembrava così bello che ne sarebbe potuto morire. Ma non c'era niente da fare, più ci stava attento e più la felicità grondava da ogni cosa, da una crepa sul muro, da un gatto di polvere, da un mestolo. A ogni sussulto di gioia del cuore si aspettava di morire. Alla fine l'idea di essere felice gli diventò così intollerabile che non gli restò altro che suicidarsi.

Non so come mia madre potesse pensare che io mi sarei addormentato dopo una storia del genere. Dopo restavo sempre con gli occhi spalancati nel buio per ore, mi aspettavo che da un momento all'altro la felicità sarebbe sbucata da sotto il letto per divorarmi, maledetta felicità.

18 gennaio 2010

Regali di compleanno

Venerdì scorso sono rimasto in ufficio ad aspettare l'inizio del turno del Reparto Entropia. Quando è arrivata Penelope 5, le ho afferrato un braccio.
- Ehi, Bandini - ha sorriso lei.
- Ciao Cinzia - le ho detto io. Penelope 5 si chiama Cinzia Pontesi. Mi ha chiesto che ci facevo ancora in ufficio a quell'ora. Le ho detto che volevo parlarle un attimo in privato. Lei ha guardato l'orologio sulla parete, ha stretto le labbra e poi ha detto okay. Siamo andati a chiuderci nel bagno degli handicappati, che è un posto tranquillo.
- E allora? - ha detto Cinzia.
Dalla tasca della mia giacca ho tirato fuori un pacchetto con un fiocco.
- Tieni - le ho detto.
- Per me? - ha detto lei, sorridendo. Poi si è fatta seria. - E come mai?
Ho alzato le spalle.
- Oggi è il compleanno di mia madre. Solo che è morta quattro anni fa, e così non posso più farle regali, e allora ho pensato che magari potevo farlo a qualcun altro, il regalo. Anche il Natale funziona così no? È il compleanno di Gesù Cristo ma mica i regali si fanno a lui, che d'altra parte non può più riceverne, no, le persone il giorno del compleanno suo si scambiano i regali tra di loro, e allora perché non nel giorno del compleanno di mia madre. La gente si può scambiare i regali anche nel giorno del suo compleanno.
Cinzia non ha detto niente, ha aperto il regalo.
- Che... che bella.
- Ti piace?
- Che cos'è?
- Oh, è una pinza tagliatubi a cricchetto.
- Ah, be', a cricchetto. Grazie.
- Figurati. Può sempre far comodo. ho pensato.
- Sì, penso di sì. Allora, buon compleanno di tua madre.
- Grazie, anche a te!
Siamo rimasti zitti per un po'. Io per fare qualcosa ho tirato lo sciacquone.
- Senti - ha detto Cinzia -, vuoi che uno di questi giorni usciamo a bere qualcosa insieme?
- Cosa? No, no.
- No?
- Ma no.
- Uh. Okay. Forse è meglio uscire da qua dentro.
Siamo usciti, ci siamo salutati e io sono tornato a casa. Secondo me, non sa neanche come si usa, una pinza tagliatubi.

13 gennaio 2010

Esci da questo distributore

Da qualche giorno il distributore di bevande calde in ufficio è guasto. Eroga soltanto il 12. Cioè tu puoi richiedere il 23 o il 21 o il 13 ma niente, lui eroga sempre e soltanto il 12, con la massima dose di zucchero oltretutto. Creativo n.3 ha subito messo in giro la voce che il distributore è posseduto dallo spirito di Creativo n.1, quello che si suicidò in Sala Incubatrice, questo perché il 12 con massimo zucchero era la bevanda calda preferita di n.1.
Io a queste stronzate non ci credo, fatto sta che ieri è venuto il tecnico del distributore a riparare il guasto, subito si è formato un capannello di curiosi attorno a lui mentre operava nel ventre della macchina, e quando è uscito e ha detto con voce neutra "Non c'è nessun guasto", un brivido si è diramato per le schiene del capannello.
- È posseduto. È Creativo n.1 - ha cominciato a bisbigliare il capannello.
Così, scienza o superstizione, stamattina è arrivato l'Esorcista dei Distributori Automatici di Bevande. Non scherzo, indossava proprio una tuta grigia con una banda gialla con su stampigliato EDAB, dev'esserci proprio un ordine professionale o qualcosa del genere. Di nuovo, il capannello era lì, ma stavolta si teneva a una distanza maggiore. L'esorcista ha appoggiato una valigetta in terra, proprio davanti al distributore.
- Che cos'ha? - ha chiesto al capannello, senza distogliere lo sguardo dalla macchina.
- Eroga solo il 12. Con massimo zucchero.
L'esorcista si è fatto il segno della croce. Poi si è chinato sulla valigetta, ha rovistato un po', ne ha estratto una stola viola, che si è messo sulle spalle, e un aspersorio.
- Caricatelo con l'acqua del boccione - ha detto al capannello. Il capannello ha eseguito e ha riconsegnato l'aspersorio all'esorcista. L'esorcista si è schiarito la voce, ha scaracchiato nel cestino della raccolta indifferenziata e aspergendo il distributore ha cominciato a bofonchiare misteriose formule rituali. Il capannello si è fatto un po' più vicino. L'esorcista ha chiuso gli occhi ed è rimasto in silenzio per trenta secondi. Il capannello si è stretto attorno a lui. Poi l'esorcista ha aperto gli occhi e ha urlato:
-Esci da questo distributore automatico di bevande calde! Esci da questo distributore automatico di bevande calde! Esci da questo distributore di bevande calde! - eccetera. Il capannello ha fatto un balzo indietro.
Quindi, l'esorcista ha riposto la stola e l'aspersorio nella valigetta. Ha chiesto delle monete, che subito il capannello gli ha dato. Alcune se l'è messe in tasca, altre le ha inserite nel distributore, poi ha digitato il 23. La macchinetta si è messa in moto. È sceso il bicchierino, poi la bevanda. L'esorcista ha estratto il bicchierino e ha sorseggiato la bevanda. Il capannello tratteneva il respiro.
- Che cos'è? - ha chiesto il capannello.
- Un 23.
- E com'è?
- Fa schifo.
Urla di approvazione da parte del capannello, che subito si è messo in fila davanti al distributore risanato.
- Ma capita spesso? - ho chiesto all'esorcista, che si era avviato verso l'uscita. Lui si è fermato, si è girato un attimo e con voce bassa ha detto:
- Continuamente.

9 gennaio 2010

Sapessi

Io non capisco questa voglia sempre di provocare che ha Lacazza, il pizzaiolo di Rapidopizza. Riesce sempre a mettermi di malumore. Io ogni volta arrivo lastricato di buone intenzioni dalla testa ai piedi, e lui butta tutte le piastrelle delle mie buone intenzioni all'aria. Tipo ieri pomeriggio, arrivo in pizzeria salutando tutti con la massima cordialità possibile, e lui subito mi stoppa dall'altra parte del bancone e mi fa:
- Cosa cristo è quella roba, Bandini.
- È il mio casco, Lacazza.
- Non quello che hai in mano. Quella roba che hai addosso, perdio.
Ho capito subito che si riferiva alla gonna a fiori che indossavo. Embè? Siccome non avevo un paio di jeans puliti da infilare, ho frugato nel guardaroba di Armenia e ho trovato questa sua vecchia gonna che mi andava a pennello. A casa mi metto spesso le sue gonne, sono molto comode anche per andare a pisciare, soprattutto se non si mettono le mutande, basta tirarsi su la gonna e oplà. Anche a grattarsi il culo c'è molta più soddisfazione. Mi piace stare comodo, in casa. E insomma non avevo pantaloni puliti e sono uscito di casa con la gonna di Armenia, lei non c'era ma sono sicuro che non avrebbe avuto niente da dire, ma ovviamente non avevo calcolato il fattore Lacazza, il maledetto cacacazzo Lacazza.
- È una gonna della mia ragazza, embè? - gli ho risposto.
Lacazza ha mosso le labbra ma non è riuscito ad articolare neanche una sillaba per quasi dieci secondi, era come se gli venivano da dire dieci cose insieme e non sapesse decidersi. Poi alla fine si è deciso.
- Ma cristodiddio. Che problemi hai, vorrei sapere.
- Nessun problema. Sto da dio.
- Sei davvero delizioso, sì.
- Risparmiami il tuo sarcasmo da pizzaiolo. Questa gonna è comodissima e non hai idea del senso di libertà che si prova. Se solo potessi per un attimo uscire dalla tua mente grezza e ampliare i tuoi orizzonti, allora proveresti anche tu.
- Ma almeno qualcosa di più sobrio. A fiori, cazzo. Sei un uomo schifoso.
- Sei solo invidioso.
E insomma, pensavo che fosse finita lì. Stamattina rivado in pizzeria, sempre con la gonna a fiori, e pensavo che Lacazza stavolta mi avrebbe lasciato in pace. Invece appena arrivo mi fa cenno di avvicinarmi.
- Che c'è, stavolta? - faccio io, irritato.
Mi fa segno di passare dietro al bancone. Indossava una gonna a scacchi plissettata.
- Che te ne pare, frocetto? - mi fa, facendo una piroetta.
- Ehi. Dove te la sei procurata?
- Sapessi.
- Sinceramente. Non me l'aspettavo.
- Mi secca, ma devo darti ragione. Con la gonna non mi sudano più le palle. Semmai fa un po' freschino. Ma tu come fai ad andare in motorino con quella? Con 'sto freddo?
- Sei veramente un pivello, Lacazza - ho detto, e tirando su la mia gonna gli ho mostrato i miei collant.
- Ma che cazzo succede qua.
Ci siamo voltati, era Mario, il titolare.
- Cosa siete, due troie? Vi pare il modo di venire al lavoro? Cosa cazzo vi è saltato in testa?
- È un'idea sua, capo – ha detto subito Lacazza, indicando me, – e comunque, capo, dovresti uscire dalla tua grettezza mentale – ha aggiunto, le mani ai fianchi, la gonna fino alle ginocchia.
Prima che Mario ribattesse, mi sono precipitato fuori a consegnare le pizze. Io lo lascio questo lavoro di merda, ho pensato mentre sfrecciavo in motorino e il vento spampanava la mia gonna a fiori.

8 gennaio 2010

Ti amo in hawaiiano

D'inverno Eugenia ha la fica fredda. Come tutte le bambole gonfiabili, penso. Io però ho trovato una soluzione, metto sul fuoco un pentolino d'acqua, lo faccio bollire, metà acqua poi la verso in una tazza per farci il tè, l'altra metà la verso in un preservativo. Poi chiudo il preservativo con un nodo e infilo questo gavettone caldo nella fica di Eugenia. Poi bevo il tè, sorseggiandolo a poco a poco, mentre la fica di Eugenia si scalda. Il mio tè preferito è TèAmo Clebbino aromatizzato con acquaragia. Finito di bere il tè sfilo il preservativo dalla fica di Eugenia e ci infilo il cazzo, dopo è come fare l'amore alla Hawaii.
"Aloha wau ia 'oe", sussurro all'orecchio di plastica di Eugenia, che vuol dire ti amo in hawaiiano. Me lo ha detto Creativo n.4, che ci è stato in vacanza, alle Hawaii. L'hawaiiano è una lingua con un sacco di vocali, ha detto, è come parlare senza dentiera.
Dopo l'amore non mi lavo subito, e non lavo subito neanche Eugenia, mi copro con un plaid e resto disteso sul divano a seguire le evoluzioni di Domenico sulle pareti del soggiorno. Evoluzioni è una parola grossa, Domenico si muove pochissimo. Forse si sente solo, gli manca uno stimolo. Forse dovrei procurargli un geko di plastica, per l'amore. Ma forse è ancora piccolo, o forse sono io che lo vedo così, per i genitori i figli non crescono mai, sono sempre dei bambini.