30 giugno 2010

Tatuaggi altrui

Ieri ho conosciuto un tizio, di lavoro si fa fare i tatuaggi al posto degli altri. C'è un sacco di gente che vorrebbe farsi dei tatuaggi, però è insicura, teme che col tempo si stancherà dei tatuaggi che ha, teme che dopo un po' non gli piaceranno più, vorrebbe farsi tatuare il nome della fidanzata ma dopo se la fidanzata lo lascia? Certo, oggi con le tecniche moderne uno può anche farsi togliere il tatuaggio, però è comunque una rogna, e poi è gente insicura, teme che comunque la pelle non torni più quella di un tempo. Gente ricca, e insicura. Allora questa gente va da questo tizio, questo tizio in pratica gli affitta il suo corpo, la sua pelle. La gente gli dice: mi piacerebbe tatuarmi questa aquila sulla schiena. Lui se la fa tatuare al posto della gente, e poi la gente, quando vuole far vedere agli amici il suo nuovo tatuaggio, chiama il tizio, il tizio mostra la schiena agli amici della gente, che apprezzano e si complimentano con la gente per il bel tatuaggio. In pratica è l'unico uomo al mondo, che io sappia, che ha tatuaggi non suoi.
– A quanto lo metti un tatuaggio? - gli ho chiesto io.
– Dipende dalla posizione e dalle dimensioni. Uno sul bicipite di circa 5 centimetri quadrati costa 120 euro.
– Però!
– Bisogna vendere cara la pelle – ha detto lui, serio.

8 giugno 2010

Era bello tornare

Ieri sera sono andato a consegnare tre pizze all'aeroporto. Dopo, già che ero lì, ho fatto un giro nell'aeroporto, ho visto sul tabellone degli arrivi che era appena atterrato un aereo da Parigi. Dopo un po' è arrivata questa gente con le valigie e le facce sorridenti e un po' stanche, erano i viaggiatori che arrivavano da Parigi. Allora io mi sono infilato tra di loro, anche se non avevo valigie né niente, e ho fatto finta che stavo tornando da Parigi. Il gruppetto stava scemando verso l'uscita, anche io sono scemato con loro, e ho cercato di infilarmi nei loro discorsi, tutti dicevano di dov'erano stati, cos'avevano fatto, c'erano anche dei francesi, allora anche io ho cominciato a dire che la torre Eiffel era veramente fica, e che avevo preso un aperitivo a Place de la Concorde che m'era costato un occhio della testa (non so perché si specifica sempre che è della testa, quest'occhio. Di dove dev'essere mai, se no), ma tutti mi guardavano con l'occhio della testa del sospetto, come fossi un intruso, insomma. Poi siamo usciti sul piazzale antistante e chi si è diretto ai taxi, chi al bus navetta. Io ho alzato lo sguardo in cielo, era una bellissima e limpida serata, una bellissima e limpida serata italiana, la serata giusta per tornare, quasi mi mancava l'Italia, dopo un mese passato a Parigi, dopo tutto quel Tamigi, tutti quei croissant. Era bello tornare nella mia città, pensavo. Poi sono salito sul bus navetta pure io, insieme a tutti i miei compagni di volo, c'erano dei francesi anche sul bus navetta, il bus navetta è partito. C'era traffico anche a quell'ora, nella mia città, ero tornato da Parigi da neanche mezz'ora e già non ne potevo più, già era finita la magia della mia città, praticamente era come se non fossi partito, che fregatura, i viaggi. Poi mi sono ricordato dello scooter, avevo lasciato lo scooter di RapidoPizza all'aeroporto, sono sceso alla prima fermata utile e ho cominciato a camminare a piedi verso l'aeroporto, ci avrei messo almeno quaranta minuti, però era bello camminare nella brezza della periferia essendo tornati da Parigi, dopotutto. Bisognerebbe sempre essere appena tornati da qualche parte.

4 giugno 2010

Questo non è lavorare

Certe volte quando sono in ufficio e faccio la pausa, prendo un 12 al distributore di bevande calde e poi camminando in corridoio capita che le porte degli altri uffici sono aperti. Mi fermo sulla soglia a guardare gli altri che lavorano. Sono tutti alle loro scrivanie, che fanno crocchiare i tasti delle loro tastiere e hanno le facce bluastre per il riflesso dello schermo del computer. Certe volte smettono di far crocchiare i tasti, per qualche secondo, fissano lo schermo, danno un colpetto di mouse, e poi ricominciano a far crocchiare i tasti. Certe volte sorridono allo schermo, poi tornano seri. Insomma, una gran rottura di palle, starli a guardare. I lavori di una volta, erano belli da stare a guardare. Gli operai che stendono l'asfalto, i muratori che impastano il cemento, gli impagliatori di sedie, gli impagliatori di animali, gli impagliatori di umani, i netturbini quando con il braccio meccanico sollevano la campana del vetro e la svuotano nel rimorchio, i contadini sui trattori, gli imbianchini, gli attacchini che attaccano i manifesti pubblicitari della Cedrata Clebbino, i lavavetri, l'omino che fila lo zucchero filato, gli idraulici quando tagliano un tubo con la pinza tagliatubi, i meccanici che smontano la coppa dell'olio, gli elettricisti che sbucciano i cavi, i panettieri che infornano il pane, le maestre che fanno il dettato, le commesse dei negozi quando fanno i pacchettini, i falegnami, i giardinieri. Invece questi lavori qua moderni dopo due minuti a guardarli ti annoi, non succede niente, vorresti cambiare canale ma non si può, questo mica è lavorare, questo non lo so cos'è, è farsi venire la faccia blu, è crepare.