3 gennaio 2015

Che mi racconti?

Ho passato il giorno di Natale a casa di Ermete Dossi e Cinzia Pontesi, nella Zona Deumanizzata. Mi avevano invitato e anche se non ne avevo voglia mi sembrava brutto declinare l’invito. Anche mio padre a dire il vero mi aveva invitato, anche in questo caso non ne avevo nessuna voglia, ma stavolta non me ne fregava niente di declinare l’invito. La verità vera è che avrei voluto tanto restarmene in casa a giocare al presepe porno con Dolly, la mia pecora gonfiabile. Il mio progetto grandioso era allestire in casa una sorta di presepe a grandezza naturale, io naturalmente mi sarei vestito da pastore palestinese, e poi me la sarei ingroppata sotto la stella cometa, e dando le spalle alla grotta della Natività. Ma c’era il mio maestro, a casa mia, e non aveva nessuna intenzione di andarsene. Ma non ce l’ha una famiglia?, gli ho chiesto. Con la mano ha fatto il gesto “così-così”. Non ha comprato, tipo, dei regali per la sua famiglia così-così?
– Comprare? Io odio comprare. Le cose che compriamo oggi sono i rifiuti di domani. Perché comprare rifiuti? – ha detto.
– Certo, maestro. E le cose che mangiamo oggi sono le nostre feci di domani. Allora perché mangiare merda?
– È quello che mi chiedo ogni volta che consumo un pasto preparato da te.
Sono uscito di casa sbattendo la porta e sono andato da Ermete e Cinzia. Come regalo ho portato un panettone Clebbino. Cinzia ha cucinato fusilli con panna e formaggio, e per secondo c’erano delle fettine di galantina della Coop e dell’insalata russa sempre della Coop.
– Te l’ho detto che adesso lavoro alla Coop del Centro Commerciale Clebbino? – ha detto Cinzia.
– L’avevo intuito – ho detto io.
Alla fine del pranzo la tovaglia era cosparsa di canditi del panettone. Sia Cinzia che Ermete li avevano scartati tutti. È dura la vita dei canditi dei panettoni, ho pensato.
– Allora, che mi racconti? – ha detto Ermete. Non aveva aperto bocca per tutto il pranzo, e io me ne ero accorto solo alla fine, quando aveva parlato.
– Be’. C’era una volta una bambina molto bellina che viveva con la sua mamma e che indossava sempre un cappuccio rosso. Ragione per cui tutti – ma tutti chi, poi? – la chiamavano Cappuccetto Rosso. Un giorno sua mamma le dà un cestino e le dice: Cappuccetto Rosso, devi portare questo cestino di focacce alla nonna che vive nel bosco, che è molto malata. Ma mi raccomando…
Ho guardato Ermete. Dormiva con la testa sulla tovaglia, tra i canditi. Ormai fuori era buio. Cinzia ha finito di lavare i piatti in cucina ed è venuta a sedersi davanti a me. Ermete russava piano.
– Ma un albero di Natale no? – ho detto, perché non sapevo che dire.
– Non serve – ha detto Cinzia. Si è alzata e ha spento la luce. Allora dalla finestra è arrivato un riverbero di luci intermittenti rosa, gialle e blu.
– Sono le luci del centro commerciale – ha detto Cinzia, nella semioscurità. Io ho annuito.
Siamo stati un po’ zitti a guardare i riflessi delle lucine sulle pareti di casa. Ermete russava a ritmo con l’intermittenza delle lucine: sembrava quasi un canto di Natale.
– Sei bravo a raccontare le favole – ha detto Cinzia.
L’ho guardata: la sua faccia era rosa, poi gialla, poi blu. Ho cominciato a mangiare i canditi che erano sulla tovaglia, uno ad uno, lentamente.
– Ce n’è uno qui – ha detto Cinzia. Si è protesa verso di me e con due dita mi ha messo in bocca un candito. Poi, molto lentamente, è tornata a sedersi, cambiando continuamente colore.
– Grazie.
– Non c’è di che.
Con quel gioco di colori in faccia sembrava una marziana, e contemporaneamente mi era così familiare.

Dopo, mentre tornavo a casa in macchina, ho pensato di fare una strada diversa, magari mi avrebbe aiutato a sentirmi da un’altra parte che non fosse questa città. A un certo punto ho notato un cartello blu che diceva: ATTENZIONE: RILEVAZIONE ELETTRONICA DELLA FELICITA’. Allora mi è venuta un po’ d’ansia e mi sono sforzato di sorridere.